APPROFONDIMENTI
LA RABBIA
Marianna Borgato: “Tecniche di gestione della rabbia patologica”
Rivista n° 3 Giugno 2009
– The International peer-reviewed open-access journal of scientific research in psychology –
Link: Psicoterapeuti In-Formazione
Riassunto
Le emozioni di base, fra cui la rabbia, sono filogeneticamente determinate, hanno una base innata ed una funzione adattiva, tuttavia possono diventare causa di sofferenza per il soggetto quando la loro intensità è molto elevata e si protrae a lungo. Nel caso della rabbia, essa diventa disfunzionale per la persona, quando la sua manifestazione compromette le relazioni sociali o spinge a compiere azioni dannose verso persone oppure cose.
La psicoterapia cognitiva si serve di numerose tecniche che mirano alla riduzione della sofferenza emotiva e, nello specifico, a una riduzione o migliore gestione della rabbia; si va da tecniche strettamente cognitiviste, il cui focus è il cambiamento dei significati cognitivi che regolano la rabbia, a tecniche più comportamentali e orientate a modificare direttamente le emozioni e le condotte migliorando così le capacità di fronteggiamento delle situazioni attraverso l’apprendimento di nuove competenze.
Definizione della rabbia
La rabbia è un’emozione, cioè uno stato affettivo intenso che si attiva grazie all’intervento di diversi stimoli interni od esterni all’individuo e all’interpretazione cognitiva che vi si attribuisce.
E’ un processo che si svolge attraverso alcune fasi (inizio, durata, attenuazione) cui si accompagnano modificazioni fisiologiche e comportamentali che hanno spesso una funzione di adattamento dell’individuo all’ambiente. Le modificazioni fisiologiche consistono nell’accelerazione del battito cardiaco, aumento della tensione muscolare, nella sensazione soggettiva di calore e di irrequietezza, sono dovute all’attivazione del sistema nervoso autonomo e servono a predisporre l’individuo all’azione. Il comportamento del soggetto cambia perché si crea dentro di lui un propellente energetico di cui si serve per passare alle vie di fatto che si concretizzano in azioni o espressioni verbali aggressive il cui scopo è la difesa della propria immagine, il ristabilire la giustizia oppure conservare la propria dignità personale.
La rabbia secondo Novaco (1975) è una risposta emotiva ad uno stimolo considerato dall’individuo come provocatorio, si attiva quando egli valuta un evento come un ostacolo al perseguimento di un proprio obiettivo, oppure quando ritiene di aver subito immeritatamente un torto o un danno (D’Urso, Trentin 2001). Essa rappresenta un segnale di allarme che ci mette a conoscenza della presenza di un ostacolo al raggiungimento dei nostri scopi o della violazione dei nostri diritti. La sua funzione è di avvisarci della presenza di una minaccia alla nostra autostima, alla nostra immagine sociale, e alla possibilità di essere vittima di un’ingiustizia, e di metterci nelle condizioni di poterla eliminare alla fonte. L’intensità e la durata aumentano quando l’individuo si accorge di avere pochi strumenti per fronteggiare gli eventi che l’hanno generata.
Condizioni che elicitano la rabbia
Averill (1982) ritiene che le valutazioni del soggetto circa la maggiore o minore responsabilità e consapevolezza attribuite alla persona che compie l’azione ingiusta, e l’intenzionalità di ferire che le si attribuisce, vadano ad incrementare il senso di ingiustizia e con esso la rabbia. Non è mai un solo elemento a scatenare questa reazione emotiva ma si attiva tutte le volte che si valuta di aver subito un torto ed esso è ritenuto: intenzionale, malevolo, immotivato e compiuto da una persona indesiderabile.
Le ricerche, fra cui Averill (1982) hanno evidenziato che ci si arrabbia raramente nei confronti degli oggetti e più di frequente verso le persone, perché attribuiamo loro la consapevolezza e la volontà di arrecarci un danno.
- Essere trattati male o essere costretti a fare qualcosa contro la propria volontà
- Essere abbandonati
- Venire delusi
- Essere traditi
- Venire usati senza saperlo
- Sapere di essere odiati
- Essere oggetto di attacchi fisici o verbali
- Essere criticati
- Sentire di avere fallito
- Pensare all’ingiustizia nel mondo
- Vedere andare a male i propri progetti
- Assistere ad azioni stupide o violente
- Fare qualcosa che non viene apprezzato dagli altri
Tabella 1. Sentimenti, pensieri ed eventi che attivano più frequentemente la rabbia (da Izard, 1977).
La rabbia inoltre, risulta essere più intensa quando a scatenarla sono persone cui vogliamo bene (parenti o amici) e questo avviene per almeno tre motivi:
- Temiamo maggiormente che ci abbandonino
- Vi è maggiore confidenza e minore controllo dell’aggressività
- Ci interessa di più ottenere una modifica del loro comportamento e delle loro azioni
E’ stato dimostrato che le arrabbiature, cui facciano seguito opportune spiegazioni e occasioni di chiarimento, migliorano la qualità delle relazioni perché permettono di ottenere un aumento della comprensione e dell’affiatamento fra le persone in interazione.
Izard nel 1977 ha individuato sentimenti, pensieri ed eventi che sono spesso causa della rabbia (tab.1), ma è nella ricerca di Averill che appare con maggiore chiarezza che la volontà di ferire che si attribuisce all’altro e la possibilità di evitare l’evento frustrante sono gli elementi più importanti ed in grado di attivare la rabbia in maniera molto intensa.
Scopi e funzioni della rabbia
Le ricerche condotte sul comportamento delle specie animali hanno dimostrato che la rabbia si scatena con lo scopo di garantire la sopravvivenza all’individuo e ai suoi piccoli, e di difendere il cibo e ed il territorio. L’espressione mimica e corporea della rabbia osservata negli animali e negli esseri umani è molto simile, inoltre, gli studi di Ekman e Oster (1979) dimostrano che quella facciale è riconoscibile in persone di culture molto diverse fra loro. I cambiamenti del volto comprendono: aggrottare violento delle sopracciglia, scoprire e digrignare i denti , stringere le labbra mentre gli occhi appaiono lucidi.
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Figura 1. Alcune delle facce di Ekman che rappresentano l’espressione di rabbia (Ekman, P. Oster, H. 1979)
La teoria cognitiva assume che la condotta degli esseri umani sia regolata da scopi, cioè da stati desiderati, che possono essere più o meno espliciti e che l’individuo cerca di raggiungere o evitare. Tangney (2002) ha individuato nelle sue ricerche, gli scopi sottostanti alle manifestazioni di rabbia, che ci consentono di capire ciò che le persone cercano di ottenere arrabbiandosi.
Scopi costruttivi: volti a modificare il comportamento altrui e rendere più stretta la relazione con la persona con cui ci si arrabbia, di asserire la propria libertà ed indipendenza e di ottenere che gli altri facciano qualcosa di utile per sé stessi.
Scopi malevoli: permettono di rompere o peggiorare i rapporti con l’altra persona, di vendicarsi per un torto subito, e di esprimere odio e disapprovazione.
Scopi evasivi: che servono a far diminuire l’intensità della rabbia attraverso lo sfogo dell’aggressività oppure lasciando perdere.
Altre funzioni collegate all’espressione dell’aggressività riguardano lo stabilire la gerarchia, nel mondo animale, essa si traduce quasi sempre in una “precedenza” che l’animale “non dominante” concede all’altro, più precisamente l’animale non dominante inibisce la propria aggressività con l’altro in seguito ad una esperienza precedente fallita di combattimento (Castelfranchi, 1998). Questa competizione permette di definire il rango cioè una differenza di potere fra gli appartenenti alla stessa specie che si osserva sia nel mondo animale ma anche nell’organizzazione delle società umane (Castelfranchi, 1998).
Le tecniche di gestione della rabbia
La terapia cognitiva risulta essere attualmente una delle forme di psicoterapia più avanzate e supportate da ricerche scientifiche. Essa non è una metodologia che coincide con l’uso di una tecnica ma si caratterizza per l’attenzione che attribuisce alla mente ed in particolare all’interpretazione che l’individuo dà alla realtà. Ellis e Beck, fondatori della psicoterapia cognitiva, affermano che la condotta del soggetto è mediata dal significato che egli attribuisce agli eventi. L’assunto fondamentale postulato per la prima volta negli anni ’60 da Beck e da Ellis (Beck 1967, Ellis 1962) è che le rappresentazioni mentali del paziente (credenze, pensieri automatici, schemi), permettono, con un minimo d’inferenza, di spiegare il disagio psicologico ed il suo perpetrarsi nel tempo. Ciò che caratterizza la psicoterapia cognitiva è la spiegazione dei disturbi emotivi attraverso l’analisi della relazione fra pensieri, emozioni e comportamenti (Mancini, Perdighe 2008). Uno degli aspetti principali di questo approccio è identificabile nella celebra frase del filosofo stoico Epiteto. “ L’uomo non soffre per le cose in sé, ma per le opinioni che egli ha di quelle cose”. Il cardine di questa prospettiva è il ruolo attribuito al pensiero, alla valutazione degli esseri umani nella determinazione del disagio e dei problemi psicologici ed emotivi ( Dell’Erba, 1998a). Le reazioni emotive che fanno soffrire l’individuo, ed il disagio che ne deriva, sono frutto di distorsioni di tipo cognitivo: la patologia è frutto di pensieri, schemi e processi disfunzionali (Mancini, Perdighe 2008). Le emozioni di base, fra cui la rabbia, sono filogeneticamente determinate, hanno una base innata ed una funzione adattiva, tuttavia possono diventare causa di sofferenza per il soggetto quando la loro intensità è molto elevata e si protrae a lungo. Nel caso della rabbia, essa diventa disfunzionale, per la persona, quando la sua manifestazione ne compromette le relazioni sociali o la spinge a compiere azioni dannose verso persone oppure cose. Lo stato emotivo è determinato dal significato personale che l’individuo attribuisce agli eventi, abbiamo già visto come la rabbia sorga nel momento in cui egli percepisce l’invalidazione dei suoi diritti o di aver subito un torto. L’intervento sul significato, e quindi sulla variabile cognitiva, è considerato lo strumento principe del cambiamento nella psicoterapia cognitivista il cui scopo è aiutare i pazienti a diventare consapevoli dei contenuti del pensiero dsfunzionali, a modularli e modificarli. Le persone agiscono in funzione delle proprie conoscenze quindi modificarle significa cambiare il comportamento conseguente e le emozioni associate a quelle interpretazioni, tutto ciò mette il soggetto in grado di fronteggiare più efficacemente gli eventi della vita.
L’identificazione del sistema di valutazioni cognitive di cui si serve l’individuo avviene grazie al ricorso al modello A-B-C di Albert Ellis che può essere immaginato come uno schema a tre colonne, la prima delle quali, A, identifica le condizioni antecedenti, gli stimoli, gli eventi. Il B indica le credenze, il pensiero, il ragionamento, le attività mentali che hanno come oggetto gli antecedenti. Il C definisce le conseguenze di queste attività mentali ed identifica reazioni emotive e comportamentali (Ellis, 1964, 1994, 1987; De Silvestri 1981a; Dell’Erba, 1998).
Il fatto che uno stesso evento, ad esempio un rimprovero, possa produrre in una persona una forte reazione di vergogna, in un’altra rabbia, oppure di colpa o depressione, dipende dalla valutazione che la persona dà del rimprovero essa è il risultato di un processo inferenziale, più o meno automatico, consapevole e funzionale, basato sulle convinzioni del soggetto es: se mi rappresento un evento come ingiusto proverò rabbia. (Mancini, Perdighe 2008)
La psicoterapia cognitiva si serve di numerose tecniche alcune strettamente cognitiviste altre comportamentiste, che differiscono fra loro per il fatto che le seconde considerano il cambiamento delle convinzioni dell’individuo, come un effetto dell’intervento e non il suo scopo.
Tutte le procedure vengono utilizzate in vista della riduzione della sofferenza emotiva e differiscono fra loro a seconda della strategia di cambiamento sottesa, alcune hanno lo scopo di elicitare i contenuti problematici e servono a far emergere le convinzioni e gli schemi disfunzionali; altre sono orientate alla modifica del contenuto del pensiero e degli schemi, servono a mostrare al paziente la parzialità e non correttezza della propria interpretazione dandone così un significato più funzionale; altre ancora sono finalizzate a rendere meno rigide ed assolutistiche le convinzioni della persona; vi sono poi le procedure orientate a modificare direttamente le emozioni e le condotte migliorando le capacità di fronteggiamento delle situazioni attraverso l’apprendimento di nuove competenze (Mancini, Perdighe 2008).
Di seguito vengono descritte alcune procedure che si sono dimostrate utili nella gestione della rabbia.
Il Problem Solving
Il problem solving è una tecnica utilizzata in psicoterapia cognitiva con pazienti che manifestano disturbi nella sfera emotiva, la sua applicazione al trattamento della rabbia è risultata utile per ridurne l’intensità grazie allo spostamento dell’attenzione del soggetto sulla soluzione del problema anziché sulle cause che l’hanno generato. Questa tecnica consiste nell’individuare strategie alternative per la risoluzione d una situazione problematica. Quest’ultima è caratterizzata da uno stato iniziale di incertezza che attiva l’individuo ad approdare ad uno stato finale di equilibrio utilizzando una modalità di ricerca che consta di tre fasi: la prima prevede che vi sia una presa di coscienza del problema, la seconda che avvenga la formulazione di ipotesi alternative, la terza che tali ipotesi siano valutate e poi messe in atto.
Un problema è ben definito, quando il soggetto riesce a specificare lo stato iniziale in cui si trova e l’obiettivo che vorrebbe raggiungere, è mal definito se non è chiaro il motivo per cui la situazione è problematica per la persona. Compito del clinico è di aiutare il paziente a stabilire bene i termini del problema per dargli la possibilità di arrivare, almeno in potenza, alla soluzione.
Lo scopo del ricorso al Problem solving nel trattamento della rabbia, è di aumentare i comportamenti funzionali in situazioni difficili attraverso l’individuazione e la selezione di alternative efficaci. La tecnica permette lo sviluppo di nuove strategie di coping utili ad affrontare le situazioni critiche dove l’individuo rischia la compromissione dei suoi scopi. Essa si realizza attraverso 5 fasi:
- Orientamento generale
Si affianca il paziente nel processo di riconoscimento delle situazioni problematiche, di accettazione della loro esistenza, e della possibilità di risolverle. Egli deve essere stimolato ad inibire la tendenza ad affrontarle in maniera impulsiva, poiché lasciarsi trascinare dalla tendenza a risolvere in maniera frettolosa i problemi non è sempre la strategia migliore da adottare.
- Definizione del problema
Definire il problema in termini operazionali quindi in tutti i suoi aspetti, chiarendo qual è il punto di partenza e quello di arrivo, in questo modo diventa possibile identificare l’obiettivo da raggiungere e gli ostacoli che lo impediscono.
- Generazione di alternative (Brain Storming)
La tecnica più usata nella generazione di alternative è il “Brain Storming” perché facilita la formulazione delle alternative attraverso 4 regole fondamentali:
- a) Divieto di critica delle idee altrui
- b) Pensiero a ruota libera, senza autocensura
- c) La quantità di idee esposte è essenziale
- d) Combinare e migliorare le idee esposte
In seguito alla formulazione delle soluzioni alternative si dovrebbe passare al vaglio le idee procedendo da un livello di maggiore genericità ad uno di maggiore specificità.
- Scelta (Decision Making)
Le alternative individuate vengono vagliate secondo un criterio di utilità che considera quanto valida è la soluzione scelta per il problema considerato. Si cerca poi di operare una previsione delle possibili conseguenze legate alla sua messa in atto e si sceglie quella più utile. Al termine si elabora un piano d’azione, cioè si programmano i passi attraverso i quali la soluzione prescelta può diventare un’azione concreta.
- Azione
Messa in atto del piano d’azione
- Verifica
Si valuta l’efficacia dell’alternativa prescelta, in termini di strategie e tattiche elaborate e rispetto agli obiettivi formulati nelle definizione del problema.
Esplorazione di alternative
L’esame delle alternative comprende una serie di compiti più o meno connessi tra loro. Un primo aspetto è quello della formulazione di prospettive alternative a quella che il paziente produce; tale metodo contribuisce alla scoperta di modi di valutazione nuovi, meno centrati sull’assetto soggettivo.
Un altro aspetto consiste nell’esaminare i pro e contro di un evento, distinguendo tra breve e lungo termine; infatti, attraverso tale metodo il soggetto può valutare in modo più semplice una condizione che gli appare complessa, e su cui ragiona in modo rigidamente univoco. Un ulteriore vantaggio è quello di esaminare le conseguenze di una scelta in modo tale che attraverso la produzione di inferenze ed ipotesi soggettive la persona riesca a riconoscere il suo sistema soggettivo di giudizio e quindi eventualmente a modificarlo.
Lo scopo del ricorso a questa tecnica nel trattamento della rabbia è di sostituire l’euristica con un esame dei fatti e della realtà meno rapido ma in grado di tener conto delle conseguenze immediate e a lungo termine del suo agire, senza dare troppa fiducia a conclusioni affrettate. Un’applicazione pratica di questa tecnica si può vedere nell’esempio qui di seguito riportato.
(tabella interattiva)
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Ristrutturazione cognitiva
È l’insieme dei processi terapeutici che conducono alla modificazione di convinzioni disfunzionali più o meno consapevoli, relative al mondo esterno e a se stessi. Questa tecnica è tra gli strumenti operativi principali del trattamento cognitivo e consiste nell’esaminare le cognizioni del soggetto in riferimento ad un evento insieme con le conseguenti reazioni emotive e comportamentali, essa serve ad aiutare il paziente a produrre delle modificazioni nel suo modo di pensare con la verifica delle reazioni collegate, tale metodo è l’applicazione diretta del modello ABC.
Il modello ABC è il paradigma di analisi di base nella psicoterapia cognitiva, è stato introdotto da Ellis e va ad enfatizzare l’elemento cognitivo come determinante della condotta. Si tratta di uno schema, come detto in precedenza, a tre colonne attraverso cui vengono analizzate le esperienze di disagio emotivo, separando i tre elementi essenziali: gli eventi antecedenti, la loro interpretazione cognitiva e le reazioni emotive e comportamentali. Il disagio emotivo è funzione di quanto accade a livello cognitivo ossia delle valutazioni e convinzioni su un certo evento. Nella realtà, però, uno stesso evento può generare più alternative ed interpretazioni, ed attivare parallelamente reazioni emotive e comportamentali diverse: si parla in questo caso di ABC paralleli esempio: dopo essere stata bocciata ad un esame posso sentirmi sia depressa che arrabbiata perché valuto l’evento sia come una prova della mia incapacità, sia come un torto subito (“non è giusto che i professioni non mi abbiano aiutato”). Una reazione emotiva o comportamentale, inoltre, può diventare essa stessa oggetto di valutazione attivando così una successiva sequenza ABC che si chiama ABC secondario. Esso è il problema che il soggetto si crea per il fatto stesso di avere un problema (Mancini, Perdighe 2008). Il modello ABC permette l’identificazione e il riconoscimento dei pensieri che la persona formula sugli eventi, alcuni di essi risultano disfunzionali perché creano disagio e sofferenza, allontanano dagli scopi e tendono ad autoperpetrarsi nonostante la loro inefficacia (Mancini Gangemi 2002). Ellis (1962) individua nei pazienti una serie di pensieri disfunzionali e li organizza all’interno di categorie:
pensiero dicotomico: le cose sono viste in termini di categorie mutualmente escludentisi senza gradi intermedi. Ad esempio, una situazione o è un successo oppure è un fallimento; se una situazione non è proprio perfetta allora è un completo fallimento. (“o tutto o nulla”);
ipergeneralizzazione: anche definito come “globalizzazione”; uno specifico evento è visto come una caratteristica di vita in generale o globale piuttosto che come un evento tra tanti. Ad esempio, concludere che se qualcuno ha mostrato un atteggiamento negativo in una occasione, non considera poi le altre situazioni in cui ha avuto atteggiamenti più opportuni. (“di tutta l’erba un fascio”);
catastrofizzare: gli eventi negativi che possono verificarsi sono trattati come intollerabili catastrofi piuttosto che essere visti in una prospettiva più pratica e moderata. Ad esempio, il disperarsi dopo un brutta figura come se fosse una catastrofe terribile e non come una situazione semplicemente imbarazzante e spiacevole. (“è terribile se…);
ragionamento emotivo: considerare le reazioni emotive come reazioni strettamente attendibili della situazione reale. Ad esempio, concludere che siccome ci si sente sfiduciati, la situazione è senza speranza. (“se mi sento così allora è vero”);
doverizzazioni: l’uso di “dovrei”, “devo”, “bisogna”, si deve”, segnala la presenza di un atteggiamento rigido e tendente alla confusione tra “pretendere” e “desiderare”, e ciò è in diretta connessione con regole personali. Ad esempio, il pensare che un amico deve stimarci, perchè bisogna stimare gli amici. (“devo …”, “si dovrebbe …”, “gli altri devono …”);
etichettamento: identificare qualcuno tramite una etichetta globale piuttosto che riferirsi a specifici eventi o azioni. Ad esempio, il pensare che si è un fallimento piuttosto che si è inadatti a fare una certa cosa. (“è un …..”).
La tecnica della ristrutturazione cognitiva prevede la messa in discussione dei pensieri disfunzionali attraverso il riconoscimento della categoria di appartenenza ma soprattutto sottoponendoli ad un esame obiettivo della realtà. Mettere in discussione un pensiero significa aiutare il paziente a ricercarne la veridicità ponendosi una serie di domande:
Discussione dei Pensieri irrazionali
- Questo pensiero corrisponde alla realtà obiettiva dei fatti?
- Questo modo di pensare serve a proteggere la mia vita?
- questo modo di pensare serve a farmi raggiungere i miei scopi presenti e futuri?
- Serve ad evitare le difficoltà che incontro con gli altri?
- serve a farmi sentire come desidero?
- Serve a farmi comportare come desidero?
- Quali prove esistono della veridicità del mio pensiero?
- Quali prove esistono della falsità del mio pensiero?
- Quali sono le cose peggiori che potrebbero capitare se fosse vero
- Quali sono le cose migliori che potrebbero capitare se fosse vero?
- Che probabilità ho che questo accada?
- Quali cose buone potrebbero capitarmi se gli eventi andassero nel modo in cui io penso dovrebbero andare?
- Sono davvero sicuro/che quello che penso non sia errato?
- Su 100 persone quante penserebbero nel mio stesso modo?
- Cosa direi ad una persona che pensasse quello che penso io?
Tabella 2. C. De Silvestri (1999)
I pensieri vengono discussi nel valore assoluto che assumono per l’individuo e sostituiti con altri più realistici, la ristrutturazione cognitiva non equivale quindi all’assunzione di un pensiero positivo, ma consiste nell’aiutare le persone a formulare valutazioni più aderenti alla realtà. Il modello ABC viene così esteso a comprendere altri due punti: D (Disputing =Discussione) ed E (Effects = Effetti). Al punto D il paziente viene addestrato a dibattere le convinzioni irrazionali fino ad arrivare a contestarle ed abbandonarle. Questo processo produce effetti a livello emotivo e comportamentale che consistono in una diminuzione sostanziale nell’intensità dell’emozione, nella riduzione dell’attivazione neurovegetativa e, in alcuni casi un cambiamento nel comportamento del paziente in termini di atteggiamenti ed attività (De Silvestri 1981).
Da una ricerca condotta nel 1983 da Conoley e coll., è emerso che nel trattamento della rabbia l’uso dell’ABC o della tecnica della “Sedia Vuota” propria della teoria della Gestalt, non produce differenze significative, entrambi i metodi portano ad una riduzione nell’intensità dell’emozione e dell’attivazione fisiologica ad essa associata misurata attraverso la diminuzione della pressione sanguigna. Sebbene le due procedure partano da concezioni teoriche molto diverse si sono dimostrate parimenti efficaci nella gestione della rabbia, tuttavia l’ABC è stato descritto dai soggetti come una tecnica che ha permesso la modificazione delle convinzioni legate a quest’emozione molto più rapida rispetto all’addestramento necessario per l’applicazione della “Sedia vuota” (Conoley C.W., Conoley J.C, McConnel J.A, Kimzey C.E. 1983)
Stress Inoculation Training
La procedura dello Stress Inoculation Training rappresenta una delle varie modalità di intervento psicologico per far fronte allo stress e alle sue conseguenze disfunzionali, è stata introdotta da Donald Meichenbaum nel 1977 nel contesto della terapia cognitivo-comportamentale successivamente, negli anni è stato rivisitato varie volte apportando chiarimenti e perfezonamenti. Il modello concettuale, su cui essa si fonda, presenta lo stress come una transazione fra individuo ed ambiente, cioè la risultante dell’interazione fra queste due variabili. La reazione emotiva agli stimoli ambientali inoltre, non dipende dalla natura dello stressor ma dalle valutazioni che ne dà l’individuo. Egli non è una vittima passiva dello stress ed è possibile, secondo Meichenbaum, risalire alle sue valutazioni attraverso l’analisi del dialogo interno, quest’ultimo comprende le convinzioni ed i pensieri che risultano avere un ruolo importante nel generare, mantenere, e rendere più intense le reazioni della persona. Il modello S.I.T. impone di condurre un’analisi accurata dell’esperienza del soggetto esaminando le sollecitazioni ambientali, le reazioni comportamentali ed emotive ma soprattutto il processo cognitivo di percezione e valutazione di esse. Nella reazione allo stress intervengono sia le componenti cognitive che l’iperattivazione somatica, il ricorso a questa tecnica avvalora l’idea che entrambe possono essere modulate attraverso un’adeguata esperienza di training.
La procedura è volta non tanto a modificare l’ambiente esterno quanto a sviluppare nel soggetto le capacità che possono essergli utili ad affrontare situazioni difficili in modo più funzionale. Si ricorre al concetto medico di vaccinazione secondo cui l’organismo potenzia le proprie difese grazie all’inoculazione di dosi attenuate degli stessi agenti patogeni da cui si vuole immunizzare, così nel S.I.T. l’individuo sviluppa le proprie risorse e capacità di gestione dello stress sperimentandole nel corso di esposizioni e ripetizioni in un setting assistito e protetto (Jaremko 1983) . Analogamente all’inoculazione medica, la procedura, ha lo scopo di formare degli anticorpi psicologici, delle abilità di coping quindi di fronteggiamento della realtà. In questo modo è possibile aumentare la resistenza psicologica tramite l’esposizione a stimoli abbastanza forti da attivare delle difese, ma non così potenti da abbatterli per questo motivo è collocabile in un’ottica di prevenzione e non solo di intervento terapeutico. La persona sviluppa un senso di intraprendenza appresa nel tenere testa a livelli gestibili di stress e nella possibilità di riuscire a fronteggiare situazioni future più impegnative. L’applicazione dello Stress Inoculation Trining è stata estesa ad ambiti molto diversi fra loro, Novaco nel 1977 lo utilizza con successo in soggetti con problemi di autocontrollo della collera e dell’aggressività fisica. Questo programma di riduzione e prevenzione dello stress aiuta ad individuarne i primi indici come segnali e a partire da essi adottare le abilità apprese perché è più facile interrompere un ciclo di stress al suo inizio piuttosto che quando il soggetto è “nel cuore della battaglia” (Meichenbaum 1985).
L’autore ha suddiviso la procedura in tre fasi:
- Valutazione cognitiva: in cui si raccolgono i dati sull’esperienza di stress del paziente attraverso il ricorso all’analisi del dialogo interno con l’utilizzo del modello ABC di cui sopra, al fine di aiutarlo al riconoscimento dei segnali cognitivi e somatici di bassa intensità che sono premonitori dell’innescarsi della rabbia.
- Acquisizione: Vengono insegnate le varie strategie di coping, tra le quali sarà il cliente stesso a verificare quelle che funzionano meglio nel suo caso. Esse sono: rilassamento muscolare che contribuisce alla riduzione dell’attivazione fisiologica, modificazione del dialogo interno servendosi della ristrutturazione cognitiva, addestramento all’autoistruzione. Questa tecnica prevede che siano presentate al cliente una serie di affermazioni che egli deve rivolgere a se stesso in ogni specifica fase dell’esperienza stressante. Tali affermazioni non sono il frutto dell’imposizione del terapeuta ma della messa in discussione, da parte del paziente, delle proprie affermazioni e l’individuazione di nuove e più appropriate alla sua situazione.
- Applicazione: Si incoraggia il cliente ad applicare le tecniche di coping apprese nelle situazioni quotidiane. Inizialmente, il terapeuta funge da modello mostrando come deve essere affrontata la situazione, si chiede poi al cliente di provare nell’immaginazione ad affrontare la situazione disturbante servendosi delle tecniche appena apprese.
Lo scopo del ricorso a questa tecnica nel trattamento della rabbia è di permettere all’individuo il riconoscimento dei segnali premonitori dell’attivazione della rabbia e a partire da essi riuscire ad intervenire utilizzando strategie di coping utili a diminuire l’attivazione fisiologica e a ridurre l’intensità dell’emozione garantendo così la gestione dei comportamenti ad essa associati.
Social Skills Training
Lo skills training è un trattamento finalizzato al potenziamento di specifiche abilità socio-emotive che risultano deficitarie o carenti in alcune persone. Quando si parla di skills si fa riferimento a competenze emozionali e relazionali necessarie per gestire efficacemente le proprie relazioni interpersonali. Lo skills training è un allenamento delle abilità che l’individuo possiede volto al loro sviluppo al fine di garantirgli una vita relazionale soddisfacente. Questo tipo di intervento si svolge tipicamente in un contesto di gruppo e mira all’apprendimento di abilità utili alla gestione della relazione con gli altri, e ad affrontare i problemi derivanti dalle pressioni e dagli stress della vita quotidiana. Il trattamento è strutturato secondo dei moduli che vanno a potenziare le diverse abilità servendosi di tecniche specifiche, di seguito ne vengono indicati alcuni che fanno riferimento al nucleo di Skills che l’ O.M.S. ha individuato essere fondamentale in ogni programma di prevenzione (Marmocchi, Dall’Aglio, Zannini, 2004):
- Modulo sulla capacità di prendere decisioni : Attraverso la tecnica del Decision Making la persona acquisisce la capacità di elaborare in modo attivo il processo decisionale con implicazioni positive sul senso di autoefficacia e sulla capacità di valutare le diverse opzioni nel momento in cui si è chiamati a prendere una decisione.
- Modulo sulla capacità di risolvere i problemi: Attraverso la tecnica del Problem Solving (§.1.4.2) l’individuo apprende ad affrontare in maniera costruttiva i diversi problemi che se lasciati irrisolti possono causare stress mentali e tensioni fisiche
- Modulo sulla comunicazione efficace: Attraverso il training assertivo (§1.4.6) il soggetto apprende ad esprimere opinioni, desideri, bisogni e sentimenti in maniera efficace facendo valere i propri diritti e rispettando quelli degli altri. Il ricorso alla tecnica del role playing consente inoltre, di sviluppare la capacità di esprimersi in maniera efficace nelle diverse situazioni di vita. Si chiede ai partecipanti del gruppo di impersonare un ruolo, di mettere in scena una situazione, definita dal conduttore o proposta da loro e si dà avvio alla rappresentazione di un momento di vita, oltre al ruolo di attori vi è anche quello di osservatori svolto da alcuni componenti. Una volta terminata la performance si attiva una discussione sulle difficoltà incontrate, le scoperte effettuate e le emozioni provate. Questa metodologia permette di sperimentare in vivo le situazioni, mettersi nei panni degli altri, esplorare in modo attivo atteggiamenti e stati d’animo propri e altrui, apprendere le abilità utili a fronteggiare le diverse situazioni che si possono presentare nella vita quotidiana (Marmocchi, Dall’Aglio, Zannini, 2004).
- Modulo sulla gestione delle emozioni: Attraverso il ricorso al Modello ABC la persona impara a riconoscere le emozioni in sé e negli altri prendendo consapevolezza di come esse ne influenzino il comportamento. Stati affettivi intensi come la rabbia, se non riconosciuta e gestita può avere effetti negativi sulla persona e sulle relazioni sociali.
- Modulo sulla gestione dello stress: Attraverso il ricorso a tecniche di rilassamento (metodo Jacobson) il paziente riesce a controllare i fattori di stress propri della vita quotidiana, previo il loro riconoscimento cui egli viene sensibilizzato durante il modulo 4.
Lo scopo dell’utilizzo di questa procedura, nella gestione della rabbia, è di consentire alla persona di acquisire, attraverso la sperimentazione delle diverse tecniche, le abilità di coping utili a fronteggiare la realtà, che spesso risulta essere molto complessa e difficile da gestire senza lasciarsi travolgere dall’immediatezza delle reazioni.
Training Assertivo
Con questo termine si indica un insieme di strategie con le quali si mette in grado il paziente di esprimere in modo diretto, onesto e completo i propri pensieri in maniera socialmente accettabile e tenendo in debito conto i sentimenti e il benessere degli altri. L’assertività è una caratteristica del comportamento umano che consiste nella capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni e opinioni. Un comportamento è assertivo quando permette alla persona di agire nel suo pieno interesse e di difendere il suo punto di vista senza un’attivazione emotiva esagerata. Il training assertivo ha lo scopo di addestrare il paziente ad esprimere in modo chiaro opinioni, emozioni, e bisogni, affermando i propri diritti senza negare quelli degli altri. È indicato per quei pazienti che nelle situazioni interpersonali faticano ad affermare i propri bisogni, rischiano di inibirli oppure di esprimerli con aggressività. E’ importante che essi apprendano che essere assertivi non significa aggredire gli altri o diventare ostili, egoisti ed insensibili ai bisogni degli altri ma essere liberi di esprimersi. L’anassertività complica i rapporti interpersonali soprattutto per coloro che tendono ad esprimere i propri bisogni solo quando percepiscono di aver subito un torto e lo fanno sull’onda della rabbia, emozione che nasce dalla valutazione della violazione dei propri diritti. Di seguito verranno illustrati i passi da compiere in un training assertivo:
- Prendere coscienza del proprio modo di comunicare: Si stimola il paziente, durante la seduta, ad individuare gli episodi di comunicazione problematica spingendolo a riflettere su che cosa voleva ottenere in quella situazione e su come avrebbe voluto comportarsi. Si cerca inoltre di creare la motivazione al cambiamento mettendo in evidenza vantaggi e svantaggi del proprio modo di agire e della possibilità di un cambiamento. E’ importante che siano chiariti i pensieri e le emozioni che gli impediscono di comportarsi in modo diverso da come ha sempre fatto, a tal fine si ricorre al modello ABC.
- Rimuovere gli ostacoli: Questo processo avviene attraverso la messa in discussione, da parte del paziente, dei pensieri disfunzionali servendosi della ristrutturazione cognitiva, lo si aiuta inoltre a distinguere il proprio valore personale dal giudizio degli altri attraverso le tecniche del laddering, e cercando poi di ridurre il potere attivante del giudizio: i giudizi sono solo pensieri dell’altro, non oggetti o certezze. E’ importante, al fine dell’acquisizione di un comportamento assertivo, che il soggetto sia aiutato a discutere e riesca a rimuovere l’aspettativa che l’altro legga la sua mente es: “Se una persona ci tiene a me, dovrebbe capire cosa desidero”.
Spesso le persone anassertive faticano a riconoscersi meriti e diritti, per questa ragione il trainer ricorre alla lettura della “Carta dei diritti”. L’uso della tecnica del Dialogo Socratico ha lo scopo di far riconoscere al paziente il proprio valore e legittimare i propri bisogni e desideri (valgo anch’ io). A questo punto diventa importante imparare ad assumersi rischi e responsabilità riuscendo a non usare i “si deve”, “non posso”, “non dipende da me” ma : “voglio”, “ritengo che”, “desidero”, “penso”
- Costruire competenze assertive: Prima di arrivare alla costruzione di competenze assertive è importante individuare quelle mancanti, è possibile infatti che il paziente non sappia come esprimere pareri/critiche, formulare richieste in modo non aggressivo o manifestare un bisogno senza criticare l’altro. Ciò che deve apprendere è la possibilità di comunicare un messaggio servendosi della prima persona (IO), di assumersi delle responsabilità con i verbi voglio e desidero, di ricorrere ad un messaggio chiaro, diretto, e breve, e di la legittimare i propri bisogni eliminando il ricorso alle giustificazioni. Tutto ciò si realizza attraverso il ricorso a tecniche quali il role playing, dove il paziente può modificare lo stile comunicativo attraverso simulazioni con il trainer, oppure servendosi della strategia del “disco rotto” che consiste nell’ascoltare e riaffermare il messaggio ripetendolo fino al raggiungimento dello scopo. Il ricorso alla “prova del comportamento” è utile per prendere coscienza del padroneggiamento dello stile assertivo. Il terapeuta assume il ruolo di una persona con cui il paziente ha particolari difficoltà a comunicare (dopo essersi fatto raccontare atteggiamenti e risposte tipiche), quindi lo invita ad esprimere ciò che pensa/prova e normalmente inibisce. Ogni affermazione si ripete fino a quando il paziente non dice ciò che desidera con voce ferma, ed arriva a sperimentare poco o nessun disagio. Se l’esercizio è ben eseguito, ad una iniziale sensazione di forte disagio si arriva alla soddisfazione per l’abilità comunicativa appresa. Anche il comportamento non verbale esprime la maggiore o minore assertività nella comunicazione, per questo motivo il training mira a sensibilizzare il soggetto a:
– Tenere le spalle ben diritte e non gesticolare.
– Guardare negli occhi l’interlocutore.
– Assumere un atteggiamento corporeo di apertura (non incrociare gambe e braccia).
– Mantenere la giusta distanza dall’altro (non invadere lo spazio e non manifestare difficoltà alla vicinanza).
– Parlare lentamente, con tono di voce alto; fare pause (apparire calmi).
- Stabilizzare il comportamento appreso: Non sono necessari interventi specifici per stabilizzare il comportamento appreso poiché le conseguenze positive dello stile relazionale assertivo sono rinforzanti di per sé stesse, tuttavia è importante monitorarne l’ attivazione e gli effetti.
Il training assertivo si è dimostrato una procedura efficace nel trattamento della rabbia perché permette di rivalersi del torto subito senza perdere il controllo e cedere all’aggressività, con un conseguente aumento dell’autostima e del senso di efficacia personale nel gestire le relazioni interpersonali.
Ciclo dell’aggressività:
Nel trattamento della rabbia, dopo un’attenta ricostruzione con il paziente dei fattori scatenanti, dei pensieri ad essi collegati attraverso il metodo ABC, è possibile ricorrere all’uso del modello di Clark e Wells (1999) formulato per l’interpretazione degli attacchi di panico. Esso propone che una determinata sequenza di eventi, in una successione circolare conduca all’attacco di panico ed è attualmente conosciuto come “modello del circolo vizioso” del panico.
Gli eventi possono essere interpretati in maniera diversa e scatenare la rabbia anziché l’attacco di panico, infatti se il paziente sente di aver percepito un torto proverà collera, la quale a sua volta provoca un’attivazione fisiologica con conseguente accelerazione del battito cardiaco, aumento della tensione muscolare, e sensazione soggettiva di calore e di irrequietezza. Quello che accade a questo punto è l’insorgere nel soggetto di “interpretazioni catastrofiche” degli eventi fisici che sta vivendo, erroneamente considerati segni di un imminente disastro, come perdere il controllo e diventare pazzo, aggredire le persone o distruggere tutto. Quest’emozione aumenta in seguito all’interpretazione catastrofica, e blocca la persona all’interno del circolo vizioso. Non è infrequente il ricorso a comportamenti volti all’inibizione della rabbia allo scopo di proteggersi. Essi sortiscono come effetto, un profondo senso di colpa nell’individuo, dovuto alla sensazione di essere incapace di difendere i propri diritti.
Una volta che il terapeuta è riuscito a ricostruire lo schema del circolo vizioso sarà importante condividerlo con il paziente, al fine di stimolarlo a servirsene come mappa quando si trova in situazioni che lo predispongono alla rabbia. Tutto ciò ha lo scopo di aumentare la consapevolezza dell’individuo rispetto a ciò che gli accade, di darsene una spiegazione e di sapere che il suo terapeuta sa cosa gli sta accadendo.
Stop del pensiero
La tecnica dello stop del pensiero è un metodo classico e conosciuto che ha avuto notevoli varianti nell’applicazione terapeutica. Essa consiste nel concentrarsi su pensieri non desiderati e nell’interromperli improvvisamente ricorrendo al comando “stop” o ad un suono secco. L’uso di questa strategia prevede che il paziente acquisisca consapevolezza in merito al suo dialogo interiore negativo servendosi del modello ABC. Egli è invitato a valutare quali pensieri ricorrenti reputa più dolorosi e intrusivi e a comprendere il ruolo che essi svolgono nel suo funzionamento. La procedura si svolge attraverso alcune fasi (Johnson S.L, 1999).
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Figura 2. Adattamento (Wells 1999)
Fase 1: Si chiede al paziente di chiudere gli occhi ed immaginare una situazione nella quale è probabile che si presentino pensieri stressanti, poi egli dovrà formulare alcuni pensieri neutri non correlati alla situazione
Fase 2: Il paziente deve munirsi di un timer o di una sveglia e fare in modo che suoni dopo tre minuti. Egli dovrà chiudere gli occhi e immaginare il pensiero stressante come descritto in fase 1 e al suono della sveglia urlare “STOP”. A questo punto il soggetto sarà invitato a sgombrare la mente dai pensieri stressanti lasciando lo spazio a quelli neutri. Per circa trenta secondi dopo lo stop si deve rimanere a mente libera. Qualora in questo breve arco di tempo il pensiero stressante dovesse ripresentarsi, egli dovrà urlare nuovamente “stop”.
Fase 3: Riuscire a controllare il segnale di arresto del pensiero senza ricorrere alla sveglia richiede un esercizio costante. Quando la persona si accorge di avere in mente pensieri stressanti deve urlare “stop”, nel momento in cui si accorge di riuscire a farlo per più occasioni consecutive può sostituire l’urlo con un tono di voce normale fino ad arrivare a formulare mentalmente il comando.
Fase 4: Al posto del pensiero stressante il paziente viene invitato ad utilizzare un’affermazione positiva ed assertiva precedentemente formulata.
L’idea di base è interrompere il pensiero nel momento in cui si presenta e concentrarsi su qualcos’altro, per arrivarvi è necessario un po’ di tempo e di esercizio. Il ricorso a questa tecnica nella gestione della rabbia è utile perché consente al paziente di esercitare un controllo sui pensieri ricorrenti, ed intrusivi che ne aumentano l’intensità riducendo così il livello globale di attivazione e di stress.
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“L’AIMIT e le sue applicazioni in psicoterapia:
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Torino 10-12 giugno 2011, III Convegno Mente e Corpo:
“Placebo-Nocebo i meccanismi dell’efficacia”
Articolo di:
Giovanni Fassone, Chiara Santomassimo, Valeria Trincia, Paola Foggetti, Antonella Ivaldi, Floriana Lo Reto, Maria Rita D’Onofrio , Laura Morini, Daniele Di Pauli, Elena Caprari, Francesca Bortolotti,
Laura Orlando, Mariangela Lanfredi, Marianna Borgato, Michela Carreri, Veronica Luna (Laboratorio di psicoterapia – Scuola di Psicoterapia Cognitiva-SPC, Verona); Angelo Picardi, Istituto Superiore di Sanità.